Un pezzo di storia del Pri

L’ultimo saluto di Tonino Maccanico

Tonino Maccanico come nipote di Adolfo Tino  nel Partito repubblicano ci era nato. Tino è stato uno dei più coraggiosi giornalisti antifascisti di questo Paese oltre che uno dei  più intelligenti. De Felice lo descriveva come il punto di riferimento della Milano laica e liberale, e con Ugo La Malfa fondò il Partito d’Azione e, sempre con La Malfa, aderì al Pri. Per questo Tonino nel Pri era di famiglia e tutti gli eravamo affezionatissimi. Consigliere ascoltatissimo di Pertini al Quirinale, divenne presidente di Mediobanca; Tino era stato anche mentore di Enrico Cuccia nell’Istituto di credito milanese. Ma mentre lo zio aveva una predisposizione per le questioni finanziarie, non c’è dubbio che in Maccanico prevalesse una maggore passione per la politica e le istituzioni. Il Pri lo proporrà ministro delle Riforme e degli Affari regionali nel governo De Mita e, quando Andreotti volle prendersi la delega per le Riforme, Maccanico, che era un uomo tutto di un pezzo, si dimise rifiutando di accettare di finire come il "Visconte dimezzato" di Italo Calvino. Fu la crisi del rapporto politico con la Dc che portò nel ‘91 il Pri fuori dal governo: siamo ancora grati a Maccanico per la sua fermezza. Altri sarebbero stati pronti a fare il ministro in qualunque condizione e grado e senza troppi patemi per il prestigio loro personale e del nostro partito. Maccanico venne candidato nelle elezioni politiche del ‘92 al Senato nel collegio di Milano centro, lo stesso in cui era stato eletto per anni Giovanni Spadolini divenuto senatore a vita. Maccanico fu poi sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Ciampi. Il suo principale atto politico, oltre all’uscita del governo Andreotti, rimane quel tentativo di formare un esecutivo di larghe intese, che inevitabilmente fallì, all’indomani delle dimissioni del primo governo Berlusconi nel ‘95. Le distanze allora, all’alba del bipolarismo maggioritario, fra la sinistra e la destra, erano ancora più profonde di quelle che  vi sono oggi. Maccanico rimase segnato da quell’insuccesso. Per natura e formazione intellettuale egli era uomo incline alla mediazione ed al compromesso nel senso più elevato del termine. Istituzionalmente parlando, rimase un parlamentarista ed un proporzionalista convinto. A una personalità della sua caratura doveva essere impossibile anche solo pensare di  potersi identificare con un campo specifico, quale che fosse, nel nuovo sistema e soprattutto poter identificare la sua  cultura azionista e liberale in una qualsiasi formazione politica diversa da quella del Partito repubblicano in cui era cresciuto. Nel ‘94, all’indomani nel consiglio nazionale in cui il Pri si spaccò verticalmente, lui curò e coltivò rapporti con entrambi i campi del mondo repubblicano. Magari ancora sperava che un giorno ci si potesse di nuovo riunire. Per questo lo vedemmo al congresso del Pri del 2007: fu il suo ultimo saluto.